Le parole di Gramsci in missione segreta a Sparanise a casa Graziadei, segretario del partito nel 1924 di Antonio Pastore
Dopo la scissione di Livorno, in Terra di Lavoro le battaglie per l’occupazione dei suoli incolti e il giusto salario ai braccianti.
Autunno alle porte, notte serena e tiepida, comune di Sparanise. Antonio Gramsci, che di lì a poco sarà arrestato e finirà i suoi giorni nelle prigioni del fascismo, è sul balcone e respira profondamente: «Vedi, non basta camminare sulla via giusta - dice con l’immancabile sorriso rivolto al suo ospite - occorre avere la capacità di farvi camminare anche gli altri».
Gli incontri segreti
Corrado Graziadei, che era stato nel 1924 confermato segretario provinciale del Pcd’I (Partito comunista d’Italia, poi Pei) al congresso clandestino che si era tenuto in un casolare di Riardo, e che aveva avuto il compito di condurre Gramsci a una riunione segreta a Castellammare di Stabia, ricorderà quella veglia nel suo discorso al convegno per la ricostruzione del partito comunista, nel 1945. «Mi disse: noi dobbiamo far leva sulla nostra onestà, sulla nostra capacità, sul nostro spirito di sacrificio per trascinare tutto il popolo su questo stessa via alla conquista dell’avvenire». Un insegnamento che Graziadei, commenta nella sua breve biografia Angelo Martino, non avrebbe mai dimenticato, e con lui la galleria di uomini e donne eccezionali che hanno fatto la storia del partito in Terra di lavoro. Durante il fascismo, quando la rete clandestina con i compagni di Santa Maria Capua Vetere, Capua e Piedimonte, darà vita all’unico giornale comunista stampato durante il regime, «Il proletario», diffuso dal 1942 al 1943 (L’Unità avrebbe ripreso le pubblicazioni il giorno successivo alla caduta di Mussolini, il 27 luglio 1943), e nel dopoguerra, guidando la lotta dei contadini e l’occupazione delle terre incolte.
Le figure di spicco
Graziadei, che nel 1937 fu arrestato con Benedetto D’Innocenzo, e spedito al confino alle isole Tremiti, fu eletto poi alla Camera nel 1953. Erano i tempi di Gori Lombardi di Sessa, di Alberto Iannone, capuano, professore espulso dall’insegnamento perché aveva rifiutato di prendere la tessera fascista, e vittima il 5 gennaio del 1945, insieme a cinque operai del Pirotecnico, del crollo del solaio del collocamento di corso Appio, di Michele Izzo di Carano di Sessa, pioniere delle lotte contadine fin dal 1920, un lavoratore capace di far intendere agli intellettuali la priorità dei bisogni dei ceti subalterni, di Antonio Marasco che nel 1919 fondò la Camera del lavo ro di Piedimonte e che il primo maggio del 1943 alzò la bandiera rossa sul Monte Cila. 0 come, in-fine, Michelina Vinciguerra di Maddaloni, fino al 1958 segretaria della Federbraccianti, che riuscì a chiudere il primo contratto di categoria e organizzò in seguito il movimento dei lavoratori delle manifatture tabacchi.
Gli obiettivi
Storia di grandi ideali e di sofferenze, di errori e di vittorie, inseguendo la meta della giustizia sociale, quella dei comunisti casertani. Stretti nel dopoguerra da un governo che negli anni Cinquanta aveva favorito lo sviluppo vertiginoso dell’industria settentrionale a scapito del resto del paese e da una De dai consensi stellari che in quel periodo riconsegnava il Sud alla rendita parassitarla e alla terziarizzazione. Convinti della vocazione agraria del Mezzogiorno e di Terra di Lavoro, i comunisti, come racconta Felicio Corvese nei suoi «Appunti» (a corredo del libro fotografico «Quegli istanti a ridosso del futuro» curato da Paola Broccoli), puntarono tutto sui salariati delle terre, sugli «scioperi a rovescio» e la mobilitazione contro il carovita mentre la Cassa per il Mezzogiorno e poi le Partecipa-zioni statali stavano già trasformando radicalmente l’assetto economico e sociale del territorio, in una modernizzazione a tappe forzate.
La Cassa del Mezzogiorno
Nella conferenza operaia del Pei del maggio 1964, il bersaglio rimane la Cassa del Mezzogiorno, di cui fin dall’inizio si rilevano i limiti e le storture e si sottovalutano le enormi potenzialità. Era il Pei di Mario Pignataro, di Domenico Ianniello, di Giuseppe Capobianco. Ma anche di Antonio Bellocchio e di Raucci, di Lugnano, Rendina e Russo, il cui background politico e culturale rimane comunque ancorato alla questione agraria. L’industrializzazione travolgente del «modello Caserta» patrocinata personalmente da Giacinto Bosco (e l’altrettanto rapida deindustrializzazione) coglie impreparato il partito, che farà fatica, attraverso la Cgil, a radicarsi nelle fabbriche. Solo a partire dal biennio 1968-69 fu capace di rompere il controllo sociale capitanando, ad esempio, le lotte della Saint Gobain e della fabbrica di Panzera e Bove.
Il Primo Maggio
E solo all’inizio degli anni Settanta il Pci casertano chiude definitivamente la fase post-bellica con il tramonto dell’era dei dirigenti spediti dalla segreteria nazionale, sostituiti dal ceto politico locale. Nel 1975, infine, con il celebre Primo Maggio alla Flora, il partito apre agli studenti, ai nuovi sociali, e ai movimenti che nel frattempo stavano cambiano il mondo. Da lì anche a Caserta inizia un’altra storia. |